Ok, lo sappiamo, il titolo di questa serie di articoli può suonare sempre un po’ aggressivo: chi siamo noi per dirvi cosa dovete leggere? Nessuno, in fondo, e lo sappiamo, per questo usiamo il condizionale, bistratta forma verbale che non impone, ma suggerisce. Se ne avete voglia, dunque, qui sotto trovate i libri (senza figure, per quelle ne riparliamo a breve) che più abbiamo apprezzato nel 2022 e che ci sentiamo di consigliarvi. 

 

Odissea

Sì, lo so, state già ridendo: ma come l’Odissea nel 2022? Un consiglio letterario con giusto quei tremila anni di ritardo?! Ok, reggete un momento la mia birra e mettetevi comodi, partiamo dall’inizio. No, non dalla guerra tra troiani e achei, ma da Blackie, casa editrice spagnola che ha esordito in Italia nel 2020. Negli ultimi mesi del 2022 Blackie ha introdotto una nuova collana il cui titolo è già un manifesto programmatico, Classici Liberati. L’Odissea liberata di Blackie non è quella che tutti abbiamo (più o meno) obbligatoriamente studiato sui banchi, ma un’inedita versione in prosa tradotta da Samuel Butler, ricercatore e narratore inglese del 1800. Si dice che la sua versione dell’Odissea fosse la preferita di Borges. Immagino che invece i puristi si stiano stracciando le vesti: un’Odissea in prosa? Che eresia è mai questa?! Per Butler, che ebbe al tempo il supporto di parecchi studiosi e intellettuali, la prosa è il metodo migliore per preservare lo scopo originale dell’opera, ovvero quello di raccontare una storia, e senza dubbio l’Odissea di Blackie centra in pieno questo obiettivo. La versione di Butler, tradotta da Daniel Russo, è un ottimo starter pack per chi non ha mai letto da cima a fondo il racconto epico di Omero, forse non fedelissimo alla versione originale, ma bisognerebbe anche ricordarsi che quella che oggi chiamiamo versione originale è in realtà una trascrizione delle tantissime versioni orali che circolavano in antichità, quindi non mi sembra un grandissimo problema. Se di contro questa edizione riesce a rendere popolare (nell’accezione di fruibile a tutti) uno dei pilastri della cultura occidentale, mi sembra che lo scambio sia da considerarsi più che equo. Il valore aggiunto dell’Odissea di Blackie è la cura che la casa editrice dedica all’oggetto libro in ogni sua pubblicazione. Sotto la copertina rigida in viola, arancio e azzurro, solcata da una piacevole trama tessile, i 24 canti dell’Odissea sono accompagnati da un’infinità di illustrazioni e appunti (in rosso e azzurro) che contestualizzano il racconto aggiungendo note di approfondimento o collegamenti con la cultura pop. Intorno all’Odissea poi si collocano una quindicina di pagine redazioni, molto ben scritte dedicate a Omero e Ulisse, oltre a un editoriale che spiega da dove venga l’edizione proposta. Se non fosse abbastanza, chiudono il volume Il canto di Penelope di Margaret Atwood (una rilettura dell’Odissea attraverso gli occhi della moglie di Ulisse- o Odisseo? Se avete il dubbio, la prima nota del volume è per voi) e tre versioni brevissime della storia: un microracconto di Augusto Monterrosso, una poesia di Guido Gozzano e una canzone di Nick Cave.  

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La copertina di Odissea blackie edizioni


Il capro

Il 2022 è stato l’anno del trionfo del true crime. In mezzo a un pioggia di pubblicazioni che hanno cercato più o meno elegantemente di cavalcare il trend, Il Saggiatore ha pubblicato verso la fine dell’anno Il capro, interessantissimo oggetto letterario a cavallo fra il romanzo e la ricostruzione giornalistica di Silvia Cassioli, scrittrice e poetessa, già autrice di Unghie, plantari, gambe di legno e altri ex-voto fantastici. La capacità letteraria di Cassioli si avverte da subito, da come mescola alto e basso, sacro e profano, il burocratese autoritario degli inquirenti con l’irriverente toscanaccio degli imputati; una commistione di linguaggi da cui, nelle poco meno di 400 pagine del libro, emergono i due volti della campagna toscana in cui hanno avuto luogo i delitti del Mostro, idilliaci borghi e città culle di cultura dove, al di sotto della cortina impressa nell’immaginario, si muove un’umanità immersa in molto più concrete e carnali pulsioni. Il velo che Cassioli non può squartare è quello dell’identità del Mostro, o dei Mostri, ormai trasfigurato da decenni di indagini e processi in cui si sono accavallati sviste, depistaggi, errori grossolani e fantasiosi deragliamenti, inspiegabili sparizioni di prove ed esoteriche teorie omnicomprensive così dense da attrarre nella loro gravità lo sguardo collettivo, suggestivi collegamenti con la sfera del potere, supposti mandanti occulti, imponderabili coincidenze, sgangherate poesie, inappropriate nostalgie fasciste, il tutto avviluppato intorno a una manciata di grotteschi, turpi e convenientemente smemorati vecchietti. In questo marasma che sintetizza con spietata efficacia la materia di cui è fatto il costume popolare italiano, Cassioli si muove con un’eleganza inusitata, sempre pronta a disseminare lo sberleffo tra le righe, ma al contempo rigidamente rispettosa di tutte quelle figure finite loro malgrado maciullate da una vicenda in cui terrificante e grottesco hanno ormai composto una matassa inscindibile e irrisolvibile. 

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La copertina di Il capro di Silvia Cassioli


La dorsale – L’anno dell’oro

Probabilmente se pensate a effequ la prima cosa che vi viene in mente è la sacrosanta campagna per il singolare femminile e schwa condotta dall’indipendente casa editrice con base a Firenze al fianco di una delle sue autrici più note, Vera Gheno. [ In seconda istanza, se voleste adularci, potreste citare la nostra recensione di Vivere mille vite di Lorenzo Fantoni; mentireste, lo sapremmo, ma vi voremmo bene.] Effequ, però, pubblica anche un’interessantissima collana di narrativa, Rondini, per cui nel 2021 è uscito il primo volume di una trilogia fantasy passato colpevolmente inosservato. A fine 2022 è arrivato infine il secondo capitolo, La Dorsale – L’anno dell’oro, ed è dunque arrivato il momento di riparare a questa colpa e riconoscere infine il valore dell’opera di Maria Gaia Belli. La Dorsale che dà il titolo alla saga è la catena montuosa che taglia in due il continente immaginato da Belli, barriera (termine ovviamente non casuale) su cui poggia l’Accademia che svetta sul nord e sud del mondo. Senza timore di utilizzare elementi che evocano pilastri del genere, Belli cuce fin dalle primissime pagine un immaginario che nel giro di brevissimo si conquista una propria precisa identità attraverso la precisione e la semplicità della scrittura della sua autrice. Quello de La Dorsale è un mondo semplice: il concetto è espresso così dalle primissime parole del primo volume, manifesto programmatico dell’intera saga. L’anno dell’oro costruisce sulla solidissima base del precedente volume, il cui limite principale era il sapore di antipasto che svaniva nel palato proprio nel momento in cui il lettore ne vorrebbe di più. I quattro personaggi che si muovono tra il fango e il sangue del semplice, ma crudele mondo della Dorsale sono adolescenti piacevolmente credibili nelle loro debolezze, immersi in uno scenario in cui i tratti della modernità, crudamente espressi da un’inesorabile forbice che allarga le distanze sociali, sono solcati dal volo di draghi piccoli e grandi, realistici tanto nelle fattezze, quanto nel loro ruolo di specchio di ricchezza e potere. Sullo sfondo si avvicina infine un conflitto, di cui in questo capitolo centrale si delineano i prodromi, il che non fa che rendere più difficile da sostenere la curiosità per il metallo che modellerà il terzo e conclusivo volume.

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La copertina di La Dorsale - L'anno dell'oro di gaia Maria Belli pubblicato da Effequ


Fanta-Scienza 2

Players è un progetto che coinvolge coinvolge penne provenienti dalle più disparate traiettorie del giornalismo italiano e internazionale. Come un pianeta, però, la forza di gravità di Players può essere utilizzata come un fionda per rilanciare verso traiettorie altrettanto imponderabili che vi è stato attratto. Ok, ce la stiamo un po’ suonando da soli: le tappe nella carriera di Marco Passarello non dipendono certo dal passato passaggio sulle nostre pagine, ma ci piace pensare di essergli stati di buon auspicio. Ingegnere aereonautico e giornalista RAI, Marco Passarello ha aggiunto al suo curriculum nel 2019 il ruolo di scrittore e curatore di un’antologia pubblicata da Delos dal titolo tanto semplice, quanto chiaro nelle intenzioni: Fanta-scienza. Le imprevedibili traiettorie hanno quindi portato Marco a chiacchierare con Bruce Sterling, dal quale si è sentito promettere che in caso di un secondo volume non avrebbe fatto mancare la sua partecipazione. Se state leggendo questo paragrafo, potete facilmente immaginare la fine della storia. Fanta-Scienza 2 si muove nel solco del precedente volume, pertando avanti una linea ben chiara, frutto della collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia da cui sono arrivati gli spunti tecnologici sui gli scrittori hanno poi ricamato la componente fantastica. Come nel celebre Twelve Futures del MIT, Fanta-Scienza 2 immagina il futuro prossimo sulla base di ricerche attuali, allargando lo sguardo alle prospettive che l’evoluzione tecnologica riserverà all’umanità declinate attraverso lo sguardo di veterani e nuove leve del genere. La nota caratteristica del volume è l’incedere ondivago tra l’approfondimento accademico e la divagazione narrativa, imprevedibile alternanza che guida il lettore verso eventualità amene e inattese, ma spesso affascinanti, in cui il filo conduttore è la centralità dell’uomo. 

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copertina di fanta scienza 2 di marco passarello


L’editore presuntuoso

La storia del 2022 nel mondo dell’editoria è senza dubbio quella del ladro di manoscritti, ma la vicenda dell’editor italiano di Simon & Schuster che falsificava indirizzi mail per leggere in anteprima le bozze dei libri più attesi e crogiolarsi in questo letterario privilegio è solo la punta dell’iceberg di un ambiente in cui abbondano gli aneddoti. E chi meglio di Sandro Ferri, nel settore da oltre cinquant’anni e fondatore di Edizioni E/O, potrebbe raccontarli? Ferri è della vecchia scuola e non lo nasconde (la sua idea del marketing la troviamo piuttosto ingenerosa, considerando l’ottimo lavoro dell’ufficio stampa E/O), così come non cela le difficoltà iniziali, l’appartamento usato come magazzino, il ruolo insostituibile della moglie, i rapporti affettuosi e complicati con i suoi autori, fino alla svolta con la Ferrante e il cambio di atteggiamento intorno alla casa editrice. Noi siamo di parte, ma Edizioni E/O pubblica ogni anno un sacco di bei libri (La più recondita memoria degli uomini è un altro titolo che starebbe benissimo in questa lista, ad esempio), ma L’editore presuntuoso uscito a inizio anno è passato purtroppo inosservato. Ed è un peccato, perché è davvero uno spasso.

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La copertina de L'editore presuntuoso


Interregno – iconografie del XXI secolo

Iconografie del XXI secolo è una delle cose più interessanti successe nell’internet italiano negli ultimi anni. Nato come un account Instagram per raccogliere testimonianze visuali di eventi paradossali, frammenti di apparente assurdità che, in realtà, avvicinati l’uno all’altro, definiscono un preciso andamento di questo secolo a cavallo tra due egemonie, il progetto ha rapidamente guadagnato slancio. A cavallo tra memismo, aesthetic e Lapham’s Quarterly, Iconografie del XXI secolo ha progressivamente assunto una propria identità ben definita, evolvendosi da account social a fanzine a rivista trimestrale (ci si abbona qui), espressione della visione del mondo del suo autore, Mattia Salvia, già responsabile della sezione politica di Rolling Stones. Interregno è la sintesi degli ultime tre anni di riflessioni geopolitiche sul presente condotte da Salvia a partire da quel momento in cui la nostra realtà è andata in frantumi e il mondo esterno si accorto di colpo, sbattendoci contro come in un frontale, di ciò da tempo ribolliva nel sottobosco dell’internet: l’elezione nel 2016 di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America. Per qualcuno da quel momento siamo finiti nella timeline sbagliata (l’orizzonte geopolitico letto attraverso la lente di Community, può esserci un oltre?), d’altra parte come può essere quella giusta una timeline incarnata da un troll online che guida l’assalto al palazzo del potere vestito da sciamano? E invece no, non è tutta colpa della donnola che ha masticato un cavo dell’acceleratore di particelle del CERN, è la Storia che riparte dopo che qualcuno (vedi il prossimo paragrafo) ne aveva troppo prematuramente diagnosticato la fine. Insomma, è solo l’Occidente che vede scemare la sua egemonia, mentre nuove potenze si muovono per riempire quel vuoto: può sembrare strano, ma le foto di talebani che si rilassano sui pedalò a forma di cigno o il video di un colpo di stato che si svolge dietro una lezione di pilates sono tessere di un mosaico di eventi che può essere decifrato solo avvicinando tutti i pezzi. Pubblica Nero, quindi non c’è da stupirsi se una critica dell’egemonia gramsciana trova casa dietro una cover vaporware (avvolta nella consueta sovracoperta trasparente costellata di tweet). 

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copertina di interregno iconografie del xxi secolo di mattia salvia


Il liberalismo e i suoi oppositori

CI sono studiosi condannati a rimanere imprigionati per sempre nelle gabbie delle loro nicchie e altri destinati a una celebrità pop per una semplice frase: Francis Fukuyama appartiene al secondo gruppo. Sua infatti è la celebre teoria della fine della storia: secondo la sua visione politica, l’umanità avrebbe raggiunto il suo apice di progresso in ogni capo, dalla società all’economia, alla fine del XX secolo, e a quel punto la Storia si sarebbe fermata, avendo finito il suo corso. C’è un famoso detto di Lenin che recita più o meno così: ci sono decenni in cui non accade nulla e settimane in cui sembra che accadano decenni. La frase di Fukuyama, nonché titolo della sua pubblicazione più celebre, arrivava in uno in quei decenni di relativa tranquillità, la più classica delle profezie che si auto-avverano: oggi le ruote della Storia sono ferme, quindi hanno smesso di girare. Poi le torre cadono e sotto le loro polveri la Storia riprende di colpo il suo corso, a una velocità mai immaginata dall’uomo nel corso della sua esistenza. Francis Fukuyama, tuttavia, è un pensatore alquanto intelligente e non è mai rimasto ciecamente agganciato alla sua teoria (a differenza di alcuni suoi sostenitori). La Storia è ripartita e insieme a lei l’analisi politica di Fukuyama: al centro c’è il liberismo, un tempo lancia dorata con cui l’Occidente avrebbe conquistato il globo intero, oggi modello in crisi, messo in dubbio internamente dalle democrazie occidentali, eppure difeso strenuamente dagli attacchi esterni portati su più livelli (dall’economia cinese alla guerra russa) da chi vorrebbe detronizzarlo. Chi scrive (Claudio) di rado è d’accordo con la difesa del liberalismo condotta da Fukuyama nel saggio tempestivamente pubblicato da UTET questo autunno, ma sapete quella storia di conoscere il proprio nemico, no?

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La copertina di Il liberalismo e i suoi oppositori di Francis Fukuyama


La fine della fine della storia

Con i due titoli appena citati, La fine della fine della storia costituisce una tripletta di saggi sul presente finiti nelle nostre liste di lettura grazie a questo presente pazzo pazzerello in cui siamo costretti a vivere in attesa di capire da che parte arriverà la fine del mondo. Come ci siamo appena detti: la Storia non è finita, anzi, ha ripreso la sua corsa a un ritmo insostenibile. E qui entra in scena Aufhebunga Bunga, podcast in inglese che parte dal presupposto che il modello delle liberaldemocrazie europee non sia la forma finale della società umana, bensì un esperimento il cui tramonto è ormai evidente (e sì, il riferimento del titolo del podcast è ESATTAMENTE quello). Il ragionamento del trio di autori parte dlla crisi del 2008, attraverso l’imponderabile 2016 di Trump e la Brexit, arriva alla pandemia del 2020 e infine incontra Mattia Salvia, l’autore di Interregno che qui ritroviamo nei panni del traduttore. Il volume edito da TLON dunque è un po’ la terza faccia della medaglia del ragionamento sul futuro prossimo globale: se per Fukuyama il liberalismo rasta la via, per gli autori di Aufhebunga Bunga la sinistra trova invece una nuova possibilità in questo tempo di mezzo tra due epoche, ovvero la sua resurrezione dopo aver sfiorato l’estinzione. La traiettoria intrapresa dalla sinistra nel mondo la sta portando lentamente (ma neanche tanto) al declino, per colpa dello scollamento tra le sue istanze e la classe che dovrebbe rappresentare. Ammetto di non essere del tutto d’accordo sulle analisi che trovano spazio nei nove saggi che compongono il volume, ma le tesi sono tutte ben esposte e ben argomentate: non lotterò mai con la mia vita affinché qualcuno possa sprecare il suo diritto di pronunciare una castroneria con cui non sono d’accordo, ma inizio ad essere abbastanza vecchio da ammettere che leggere analisi fondate con cui non concordo appieno è comunque stimolante. Se ancora non siete convinti, sappiate che il capitolo sei è tutto dedicato all’Italia, il paese del futuro in cui tutto il peggio che la politica di questi anni 2000 ha da offrirci è stato già vissuto con decenni di anticipo. In alto i calici!

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L’impero colpisce ancora – Da un certo punto di vista

E a proposito di imperi del male, nel 2022 L’impero colpisce ancora ha compiuto 40 anni e Panini Comics ha celebrato la ricorrenza pubblicando la divertentissima raccolta di racconti abienttai nell’universo di Star Wars, Da un certo punto di vista. La formula è semplice: quaranta autori diversi per quaranta differenti sguardi sulla galassia lontana lontana, tutti cristallizzati nell’arco temporale coperto da L’impero colpisce ancora, tutti focalizzati sui personaggi della pellicola. Così mentre Austin Walker si concentra su due cacciatori di taglie che inseguono Han Solo, Tracy Deonn ci offre uno scorcio dall’interno della grotta Dagobah (quella della visione di Luke), Martha Wells svela origini e usanze del clan degli Ugnaught che vivono nelle profondità della Città delle Nuvole e Seth Dickinson ci offre il punto di vista di un soldato al servizio dell’Impero impegnato a riflettere su quale sia stato il valore della sua esistenza durante gli ultimi istanti della nave su cui viaggia, condannata alla distruzione. Quest’ultimo è senza dubbio per quanto mi riguarda (sempre Claudio, ndr) il racconto più interessante, ma sono numerosi gli spunti piacevoli e originali nelle circa 600 pagine del volume. In un anno parecchio complicato, come testimonia anche la nostra selezione, ci siamo meritati un po’ di sano escapismo.

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copertina dell'impero colpisce ancora da un certo punto di vista di Cavan Scott, Daniel José Older, John Jackson Miller


Il demone di Maxwell

Steven Hall è sceneggiatore di Battlefield. So che non è il migliore dei biglietti da visita, ma è anche l’autore di uno dei romanzi più interessanti di questo 2022, uscito a dicembre per Il Saggiatore. Partiamo dalla trama. Thomas Quinn è uno scrittore frustrato. Figlio d’arte, non ha mai raggiunto il successo del padre, ma non solo, si è anche visto superare tanto nel successo letterario quanto nell’affetto del genitore da Andrew Black, pupillo del suo defunto genitore. Quella di Black è stata una carriera folgorante: un solo romanzo, la gloria planetaria, poi la misteriosa sparizione. La vita di Thomas, già abbastanza complicata, sprofonda quando il padre e il suo rivale riappaiono misteriosamente nella sua segreteria telefonica. Non si può però limitare Il demone di Maxwell a un semplice resoconto della trama: quello di Hall è un mondo letterario che si autogenera, che sovverte di colpo le sue regole interne, ribaltando prospettive e punti di vista sotto gli occhi esterrefatti del lettore, il quale non può far altro che divorare pagine, spiazzato e avvinghiato. Indecifrabile eppure scorrevole, il secondo romanzo di Steven Hall è un paradosso cartaceo, un motore che si autoalimenta. Non so se possa essere ricondotto alla letteratura ergodica (genere sdoganato da La casa di foglie uscito nel 2020), ma di sicuro è tra i più complessi e soddisfacenti meccanismi letterari degli ultimi tempi. 

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La copertina de Il demone di Maxwell.


Le Dame di Grace Adieu e altri racconti

Susanna Clarke è l’autrice di Jonathan Strange e il Signor Norrell, ovvero né più né meno di uno dei capolavori della letteratura inglese: un’opera sontuosa e affascinante che non ha avuto eredi, né emuli, al punto che la stessa Clarke, dopo anni di silenzio, è tornata a impreziosire le vite di noi lettori e lettrici con un romanzo – Piranesi – completamente diverso per contenuto, tono, intento e perfino lunghezza.
Sarebbe stato però un crimine lasciare vivere nel solo ricordo il mondo magico e fatato di un’Inghilterra mai così suggestiva, incantata e popolata di personaggi memorabili come lo è nelle pagine di Strange e Norrell. Ecco allora che Le Dame di Grace Adieu e altri racconti (Fazi Editore) ci regala la possibilità di immergerci nuovamente nell’atmosfera di una alternate history in cui la magia e il popolo fatato non sono leggende che appartengono al folklore locale, ma sono realtà vive e tangibili che compenetrano il prosaico mondo degli umani dando così il via a situazioni che sconfinano tra il buffo, il curioso e lo straniante.
Nelle otto storie della raccolta ritroviamo piacevolmente personaggi noti come Strange e John Uskglass, ma soprattutto storie che trasformano gli aspetti del mondano – matrimoni, eredità, pettegolezzi e piccole vendette – in materiale narrativo pregiato e intrigante, offerto agli occhi di chi legge nella forma di una prosa ironica e precisa che ha ben appreso le lezioni di Jane Austen, Emily Brontë, W. B. Yates e William Blake sublimandole in uno stile personale e riconoscibile. Insomma: magia e letteratura. Difficile trovare un binomio più appetibile.

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copertina di le dame di grace adieu di susanna clarke


Oltre le Mappe

L’insopprimibile desiderio dell’uomo di conoscere, padroneggiare e dominare la realtà in cui è immerso si sublima nel mappare, attività che non solo permette di dire “tu sei qui”, ma anche cosa c’è e come arrivarci. Con queste premesse, però, i titoli scelti da Alastair Bonnett per i suoi (finora) due libri suonano anche su una nota vagamente anarchica: Fuori dalla Mappe e Oltre le Mappe, entrambi pubblicati da Blackie Edizioni.
E quindi cosa esiste al di là dei nostri atlanti? Ovviamente dei luoghi, ma anche un’intenzione, uno stato d’animo e un anelito a essere in un posto che – sulle mappe – non è o che addirittura ha caratteristiche diverse o invisibili a seconda dell’osservatore. Nota infatti l’autore che il trovarsi in un luogo particolare senza rendersene conto è una conseguenza diretta del multiculturalismo: gruppi etnici differenti considerano in modo diverso l’importanza delle frontiere o delle identità geografiche. Un luogo può dunque essere sulla mappa per qualcuno, ma fuori dalle mappe per altri.
Oltre le Mappe offre dunque al lettore un punto di vista insolito su 39 luoghi raggruppati in cinque sezioni che trattano diverse tipologie di luoghi, siano essi intesi come spazi che come sistemi: le isole ribelli, le enclave, le utopie, i luoghi fantasma e i luoghi nascosti. Nell’attraversare questi posti – anche solo scorrendoli sotto forma di pagine del libro – emerge l’atavico anelito dell’uomo non solo alla scoperta, ma anche alla necessità di creare egli stesso dei luoghi, degli spazi da modellare in risposta a un’idea o per aderire a una filosofia di vita.
D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” scrive Calvino nelle Città Invisibili, e Oltre le Mappe è un’amichevole e stimolante esortazione a relazionarci con gli spazi partendo da ciò che ci muove nel profondo. Potete leggere la recensione completa qui.

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copertina di oltre le mappe di alaister bonnett


I Draghi Il Gigante Le Donne

Wayétu Moore è una giovane autrice (classe 1985) originaria della Liberia. A cinque anni, insieme al padre e alle due sorelle, trova riparo negli Stati Uniti grazie al visto della madre, vincitrice di una prestigiosa borsa di studio presso la Columbia University di New York.
I Draghi il gigante le donne (Edizioni E/O) è il suo secondo libro ed è a tratti un’autobiografia, a tratti un memoir, ma anche un coming of age. Tre generi che l’autrice padroneggia con una prosa ricca e avvolgete per raccontare altrettanti decenni, soffermandosi su alcuni episodi e questioni chiave della sua esistenza. Il testo è diviso in tre parti ed è proprio dalla prima che il libro mutua il titolo, quando una realtà potenzialmente spaventosa viene sublimata, dalla fertile immaginazione della protagonista bambina, in un racconto fantastico. Potete leggere la recensione completa qui.

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copertina di I draghi il gigante le donne di Wayetu Moore


Another Country 

Decenni prima che Hanya Yanagihara facesse struggere critici e booktoker con drammi omosessuali al limite del torture porn, Julian Mitchell fissava il trauma collettivo britannico causato dal traditore omosessuale Guy Burgess in un’opera teatrale divenuta poi film.

In un periodo di grande attenzione per la letteratura queer contemporanea, la piccola casa editrice SuiGeneris ha il merito di aver fornito il copione di un’opera teatrale perfetta per intercettare il gusto e le ossessioni del lettore contemporaneo, attento alle tematiche queer, ma anche deliziato dalle atmosfere *dark academia* (qualsiasi genere questa definizione delimiti) con le sue atmosfere collegiali e i suoi ricchi figli delle classi borghese, dirigenziale e militare, costretti a una vita d’omertà, classismo e segreti piaceri.

Another Country però ha dalla sua anche un valore letterario che ne fanno molto, molto più del precursore di un certo gusto letterario attuale. Insieme al celeberrimo Thinker Tailor Soldier Spy, capolavoro di John Le Carré ispirato dallo stesso trauma collettivo – la scoperta di una spia russa e traditore della madrepatria ai massimi vertici dell’Intelligence UK – fotografa il mondo culturale in cui la vicenda Burgess nacque.

Un mondo dove le gerarchie e il classismo non riescono ad arrestare la fascinazione per il Marxismo né le simpatie di alcuni per l’ascesa del Nazismo, dove l’omosessualità serpeggia ed è tollerata, a patto che venga vissuta e consumata di nascosto.

Un testo che vale la pena riscoprire, magari in accoppiata con il film del 1984 con un super cast inglese. Nella speranza di poter vedere, prima o poi, sul palco per cui è stato pensato. Traduzione di Cleide Lanzetta.

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La copertina di Another Country


Sayonara, Gangster 

Per capire il Giappone di oggi bisogna passare dagli anni ‘80; un’epoca di profondissima rottura, anche in campo letterario. Tre nomi hanno avviato la letteratura giapponese sul percorso che segue ancor oggi: Haruki Murakami non ha bisogno di presentazioni, Ryü Murakami ha finalmente ricevuto un po’ di attenzione anche in Italia e, nel 2023, è arrivato finalmente il turno di Takahashi Gen’ichiro.

Il suo capolavoro, Sayonara Gangsters, era apparso molti anni fa in Italia, per poi finire fuori catalogo, incompreso e dimenticato. Gianluca Coci ci mette di più di una nuova, puntualissima traduzione dal giapponese e di una postfazione essenziale per provare a comprendere quest’opera poliedrica e post-moderna. Ci mette la passione di un lettore innamorato di un testo che al suo arrivo negli Stati Uniti aveva fatto girare la testa a Jonathan Safran Foer.

Difficile rimanere indifferenti a un testo che sfarfalla di citazioni e poesia, uno scritto febbrile, geniale e disperato in cui l’autore riversa anni di balbuzie, scoperte di lettore, rapimento di musicofilo e una visione vertiginosa di un mondo utopico e terribile. Una realtà immaginaria in cui la poesia si può toccare, i gatti bevono vodka, le cartoline postali annunciano la morte dei destinatari ed eventi vertiginosi e apparentemente senza senso trasfigurano momenti difficilissimi della cronaca giapponese.

Probabilmente a Takahashi Gen’ichiro non farebbe piacere sentir lodato il suo romanzo simbolo perché “finalmente comprensibile”, ma è un fatto che oltre l’emozione e la genialità, questa ristampa dà modo a un lettore lontanissimo per geografia ed epoca di capire l’importanza di quest’opera nel distruggere e ricostruire l’immaginario culturale giapponese.

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La buca 

In un’estate caldissima e dal frinire assordante delle cicale, una donna cade in una buca profonda, scavata da uno strano animale. La tira fuori un ancor più strano uomo, che scoprirà essere il fratello del marito di cui non ha mai sentito parlare, né dal consorte né dalla suocera.

Così come in La fabbrica, Hiriko Oyamada costruire una realtà che, svuotata dai ritmi del lavoro e della routine familiare, si sfibra e sfilaccia fino a sconfinare nel surreale, fino a diluire la personalità dei personaggi, trasformandosi in entità misteriose.

La buca fotografa una donna sposata che realizza pian piano di trascorrere la sua vita nella casa di uno sconosciuto, incapace di trovare un senso all’infinito scorrere del tempo, non più riempito da un lavoro che non le ha mai procurato gioia. Un romanzo breve, come da tradizione nipponica, ma ricchissimo d’inquietudine.

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La copertina de La buca di Hiroko Oyamada


Cosa resta degli eroi – la trilogia di Richard K. Morgan

La brutta notizia è che a crisi dei 50 per l’autore di grimdark Richard K. Morgan si è manifestata nel peggiore dei modi, con incommentabili sparate che gli sono valse il bando da Twitter (quando ancora Twitter ti bannava se dicevi qualcosa d’irricevibile). Da sua lettrice di lunga data, ho dovuto silenziarlo per non morire d’irritazione e crepacuore.

La buona notizia è che Mondadori ha finalmente portato in Italia la sua prima e unica trilogia fantasy, caratterizzata da tutto il cinismo, la brutalità, la violenza e la disperazione che l’avevano reso un nome interessante della fantascienza a inizio Millennio.

Ringil non merita di addossarsi le colpe del suo creatore, soprattutto considerando che è un eroe fantasy e queer tutt’altro che perfetto, anzi, corroso e scavato dalle sue colpe e dagli eventi di cui è stato testimone. Un eroe che passa dall’essere destrutturato all’essere distrutto, con tutta la visionarietà e cattiveria di cui Morgan è capace. Traduzione di Edoardo Rialti.

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La copertina de L'acciaio sopravvive.


Un giorno come un altro 

Quando nel 2018 Adelphi pubblico Paranoia, rimasi molto colpita dalla personalità ironica talvolta al limite del caustico e dell’abrasivo di Shirley Jackson. Di come trasparisse dalle sue note personali tutta la frustrazione di essere considerata solo una donna, di come questa identità (seguita da quella di madre) non permettesse a quella di scrittrice di essere compresa nel suo pieno potenziale.

A distanza di quattro anni Adelphi pubblica l’ennesima raccolta di racconti dell’autrice, la cui capacità di catturare l’inquietudine dentro l’ordinario si manifesta in tutta la sua potenza proprio nella forma breve. Stavolta però sono riuscita finalmente a intravedere la Shirley scrittrice, la donna frustrata e la madre amorevole, ma al contempo percorsa da pensieri indicibili nella ventina di racconti che il volume regala. È stata una sensazione nuova, deliziosa, di familiarità, a consegnarmi una lettura di Jackson più vicina, più definita, quasi familiare. Traduzione di Simona Vinci.

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La copertina di Un giorno come un altro di Shirley jackson

 



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